Quattro libri da leggere

# ‘Favolose spezie, tre romanzi e uno studio’ – ” – ‘Ho profumato il mio letto di mirra, aloe e cannella.
Vieni, lascia che facciamo il pieno di amore sino alla mattina: lascia che ci consoliamo con l’amore.
(Proverbi 7, 17-18)
Per millenni le spezie hanno accompagnato la vita degli uomini fin dentro l’alcova e non solo come un condimento, un aroma per i cibi. Esse dovevano la loro preziosità al fatto di essere indispensabili in medicina, nella magia, nella conservazione dei cibi, come moneta di scambio, come essenze per profumi e creme, come afrodisiaci e altro ancora. Per loro si sono fatte guerre e paci, su di loro si sono scritti libri, ricettari, formulari, in loro nome si sono soggiogati e sfruttati popoli, con loro ci si è arricchiti; lo splendore della Bagdad delle Mille e una notte è legato al loro commercio e così pure la ricchezza di Venezia e di Anversa; per averle i Portoghesi e gli Spagnoli si sono avventurati nell’oceano circumnavigando l’Africa e scoprendo l’America, le Nuove Indie. Dall’inizio delle grandi civiltà fino a tutto il 1600, si può senza timore affermare che esse hanno accompagnato la vita degli uomini. Da quel momento, però, il loro astro ha preso a tramontare: la società industriale, tecnologica, consumistica sembra voler fare a meno di questi ingredienti che hanno in sé qualcosa della magia dell’Oriente, di un mondo pre-scientifico che mal si combina con il nostro razionalismo scientifico e con gli hot-dog.
Negli ultimi anni, però, qualcosa sembra in corso di mutamento e le spezie son tornate ad esercitare un loro fascino. Forse è merito delle società multi-etniche che si vanno costituendo un po’ in tutto il mondo, con frotte di immigrati orientali che non vogliono perdere il contatto con la loro terra e le loro tradizioni e che diffondono nuovamente presso di noi l’uso dei cibi speziati. O forse è il bisogno di profumi e sapori che per i loro esotismo ci portino fuori di una dimensione di vita che a volte ci sta stretta, che a volte ci pare un po’ troppo grigia. Infatti, ultimamente sugli scaffali sono giunte delle opere in cui le spezie esercitano un ruolo di primo piano e che hanno rivelato un’indubbia capacità di attrazione nei confronti del pubblico. Si suggeriscono qui tre titoli di narrativa in cui le spezie, a volte condimento letterario, altre volte perno strutturale della costruzione, si pongono come simbolo di un mondo “altro”. Questi volumi sono scritti da donne le cui radici affondano nell’Oriente, tra l’Iran e il Bengala e che ora vivono tra Irlanda, Inghilterra e USA. Per loro le spezie evidentemente racchiudono un po’ della loro terra d’origine, hanno una funzione di schermo nei confronti della nostalgia.

Simpatico e piacevole è il romanzo di Marsha Mehran, Caffè Babilonia, ambientato in un umido paesino dell’Irlanda dove arrivano tre sorelle in fuga dall’Iran komeinista, aprendovi un piccolo locale dove esse imbandiscono i loro piatti più tipici: zuppa di lenticchie rosse, baklava, dolmeh, orecchie di elefante, pane lavashi, zuppa di melagrana sono alcune delle ricette che vengono fornite con precisione da cuoco in apertura di ogni capitolo e che ne saranno le protagoniste indirette. La storia delle tre sorelle si scontra e si incontra naturalmente con le reazioni della gente del piccolo paesino, attratta e\\o respinta dagli aromi inusitati e intensi che escono dalle porte del Caffè Babilonia. E’ una storia che, nella forma della favola a lieto fine, parla del dolore della separazione, delle difficoltà dell’integrazione e della possibilità di far nascere nuovi affetti e relazioni tra gli uomini. Anche attorno ad un piatto a base di curcuma, zafferano, paprica, pepe nero.
La voce della Mehran (nata in Iran, ha dovuto andarsene durante la rivoluzione komeinista e ha poi cercato in tanti paesi un luogo in cuiradicarsi, fermandosi da ultimo con il marito in Irlanda) ci accompagna attraverso la storia con la leggerezza e la grazia gentile di un antico, elegante drappo di seta su cui sono stampate figurine aggraziate ed eleganti. E’ un libro che riconcilia col mondo e fa venir voglia di allargare i confini dei propri cibi preferiti.
Più intenso e drammatico il libro di Yasmin Crowther, La cucina color zafferano, (nata nel 1970 in una famiglia anglo-iraniana, ora vive a Londra) dove si racconta la storia di una donna, Maryam Mazar, iraniana, che ha sposato un placido inglese da cui ha avuto una figlia e che sembra ben inserita nel tran-tran della vita britannica. Ma improvvisamente due eventi rompono il suo equilibrio: a Teheran muore la sorella e a Londra la figlia, Sara, abortisce in seguito ad un piccolo infortunio. Per Maryam è l’inizio di una crisi profonda in cui emergono fantasmi di un passato che credeva esorcizzato. Essa cerca di uscirne tornando indietro, al proprio paesetto d’origine, recuperando legami, sapori, colori, affetti di una condizione originaria e pacificante. In questo romanzo le spezie sono più che una presenza reale, un simbolo, un colore di fondo che rimanda ai desideri, alle tensioni profonde di Maryam e della figlia Sara che, non a caso, dipinge di color cannella la stanza londinese cui è più legata, la cucina, quasi a ricostruire artificialmente la dimensione dello spirito e della vita in cui le sue radici ancora affondano.
Di origini bengalesi è invece Chitra Banerjee Divakaruni, che ha lasciato Calcutta ancora negli anni Settanta per stabilirsi a San Francisco e che è conosciuta in Italia per i molti romanzi tradotti nella nostra lingua. Della Divakaruni, La maga delle spezie è un libro che vive nei cieli delle favole, tra bambine che hanno poteri straordinari, pirati che risalgono il fiume e rapiscono la protagonista, serpenti marini che la trasportano in un’isola dove incontra l’Antica Madre, spezie che hanno il potere di far vedere lontano o di mutare i sentimenti o di provocare la trasformazione di un vecchio corpo rinsecchito nella flessuosa silhouette di una giovane donna irresistibile. Necessita quindi di un lettore che sappia accettare questa dimensione di non-realtà, nonché una scrittura ricca e lussureggiante. Di questi strumenti l’autrice si serve però per avvicinarsi alla realtà dell’immigrazione degli indiani in America, anche se in termini piuttosto semplificati e buonisti.
Qualora invece ci si volesse avvicinare all’argomento in modo più scientifico, fuori delle suggestioni della letteratura, si consiglia il bel bel libro di Jack Turner, Spezie. Storia di una tentazione. Si tratta di uno studio di recente pubblicazione, aggiornato, erudito, coltissimo, che affronta il ruolo che le spezie hanno avuto nella storia, sondandone con ricchissimo apparato di citazioni gli usi alimentari, erotici, spirituali, medicamentosi, nonché i conflitti, le avventure, i viaggi, gli imperi cui hanno dato origine. La penna di questo storico si muove con agilità tra l’Età Antica, il Medioevo e l’Età Moderna, fino a condurci alla fine della lunghissima età delle spezie. Questo studio è facilmente leggibile ma richiede tempi lunghi, non tanto una lettura continuata e veloce. Infatti la sua ricchezza di fonti e citazioni rischia altrimenti di sommergere il lettore. Oltre che con tante informazioni suggestive, il lettore se ne esce con due idee: la prima è che la conoscenza storica è veramente un pozzo senza fondo e che quanto noi arriviamo a conoscere non è che una sottile crosta ; la seconda è, più che un’idea, un atteggiamento, vale a dire una riverenza nuova nei confronti di questi aromi, non banali ingredienti di cucina, ma artefici a vari livelli della storia dell’uomo e, guardando alla narrativa contemporanea, stimoli alla creatività.
‘ – ‘Pierangelo Gobbato’ – ” – ‘2008-07-23’ – 7);